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Ricerca Fiom Varese, gender gap tutto da superare

Il decreto legislativo 198 del 2006, comunemente chiamato Codice delle Pari Opportunità, ha introdotto l’obbligo per le aziende con almeno cinquanta dipendenti, di redigere un report sulla situazione occupazionale di lavoratori e lavoratrici. La Fiom di Varese, grazie ad un lavoro corale fatto dai funzionari e dalle funzionarie e dai delegati e dalle delegate, ha raccolto 51 report di aziende metalmeccaniche del nostro territorio contenenti i dati del 2021.

L’analisi conferma, purtroppo, le difficoltà delle lavoratrici in termini di crescita professionale, retribuzioni e conciliazione già rilevate a livello nazionale.

Il settore metalmeccanico è un settore a basso tasso di femminilizzazione. Nelle 48 aziende analizzate le donne sono poco meno del 23% degli occupati mentre nei gruppi più grandi (Bticino, Leonardo e Whirlpool), esaminate a parte, sono il 19%.

La percentuale peggiora notevolmente tra i dirigenti. Solo il 10% infatti è di genere femminile. Nei tre grandi gruppi il dato migliora di poco, attestandosi sul 15%. Le difficoltà nelle progressioni di carriera, con un divario così ampio, non sono ovviamente legate a minori capacità manageriali delle donne ma ad una minore flessibilità in termini di orari e di trasferte che un dirigente generalmente garantisce e che chi deve occuparsi di casa, figli o anziani non può offrire.

Il dato che ci ha colpito di più è quello relativo ai contratti di lavoro part time. Il 16% delle donne occupate nelle aziende analizzate (12% nei grandi gruppi) lavora a tempo parziale contro solo l’1% degli uomini (0,3% nei grandi gruppi). Una chiara polarizzazione di genere emerge anche nell’uso dei congedi di maternità/paternità e parentali: le donne che li usano sono il 4,5% circa delle occupate contro l’1,4% di uomini (nei grandi gruppi rispettivamente 2,5% e 1%).

Lo straordinario viene effettuato prevalentemente dagli uomini: 63 ore annue pro capite contro le 22 ore lavorate dalle donne (rispettivamente 56 e 30 nei gruppi). Le donne, nella nostra società, hanno incombenze familiari che molti meno uomini hanno, di conseguenza il tempo da poter dedicare al lavoro è inferiore.

Confermiamo anche i dati relativi al gender pay gap rilevati a livello nazionale. Tra gli operai il divario retributivo è pari al 22,5%, tra gli impiegati è il 23%. Diminuisce tra chi ricopre un ruolo direttivo; è infatti il 5% tra i dirigenti e il 19% tra i quadri. Nei tre gruppi nazionali, grazie ad una maggior attenzione al tema e a strumenti di contrattazione più estesi, le differenze retributive tra uomini e donne sono meno marcate in tutte le qualifiche (17% tra gli operai, 9% per gli impiegati e 8% per i quadri) tranne che per i dirigenti (11%). Anche il salario accessorio presenta delle differenze molto rilevanti. I superminimi medi distribuiti agli uomini sono infatti di circa 6 mila euro contro i 3 mila distribuiti alle lavoratrici.

Insieme alla forte caratterizzazione femminile del part time e alla minor disponibilità a straordinari la distribuzione unilaterale del salario da parte delle aziende appare come uno dei motivi principali del differenziale di paga sfavorevole alle donne. I dati analizzati presentano pertanto una forte contraddizione tra “meritocrazia” e “pari opportunità”. Minori responsabilità e salari più bassi non sono certo frutto di una minore competenza o di minori capacità lavorative delle donne. Pertanto, a nostro avviso, meritocrazia e pari opportunità nella realtà dei fatti sono meri proclami.

Le aziende analizzate puntano meno sul lavoro delle donne e la conferma viene dai dati sulla formazione. Agli uomini sono state erogate 13 ore annue pro capite contro le 8 dedicate alle donne  Nei grandi gruppi è stata erogata maggior formazione. 32 ore pro capite per gli uomini e 20 per le donne.

I dati esposti mostrano una società nella quale gender pay gap, soffitto di cristallo, difficoltà di accesso ai servizi di cura e una cultura di genere ancora poco paritaria non permettono alle donne di prendersi lo spazio che meriterebbero e che spetterebbe loro. Crediamo che la lotta alla disparità di genere vada combattuta da entrambi i sessi perché siamo di fronte ad un’arretratezza culturale della società nel suo complesso e se migliorano le condizioni della donna migliora anche la condizione maschile.

Leggi e sistemi di welfare giocano un ruolo chiave ma sono il risultato della cultura dominante di un Paese. La cultura si cambia dal basso, a partire dalle nostre case pretendendo che gli uomini condividano e contribuiscano in modo egualitario alla gestione delle faccende domestiche e alla cura di anziani e figli. Gli stereotipi si decostruiscono dalle fondamenta e la Cgil con la contrattazione che quotidianamente svolge nei luoghi di lavoro ha già da tempo assunto la sfida.

Gaia Angelo – Segreteria Cgil Varese

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