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Per il lavoro, i diritti, il salario: quanto bisogna ancora fare?

C’è bisogno prioritariamente di interventi per la stabilità e solidità delle condizioni di lavoro ancora oggi caratterizzate da part time involontari e contratti di breve durata,  c’è bisogno di sostenere la contrattazione aiutando il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, serve quindi anche una legge che dia validità generale ai Ccnl in modo che diventino vincoli di legge sia la paga oraria sia tutti i diritti contenuti nei contratti stessi, eliminare il dumping contrattuale prodotto dai contratti pirata e non alimentare strumenti normativi che hanno l’effetto di rendere precarie le retribuzioni e le tutele del lavoro.

Purtroppo, da questo punto di vista, il Decreto Lavoro varato a luglio va esattamente nella direzione opposta, allargando l’utilizzo dei voucher e rendendo il part time a termine ancora più libero riducendone i vincoli di causalità per cui utilizzarlo.

Poi abbiamo tutto il tema dei bassi salari. Oltre al capitolo fiscale che deve avere una maggiore progressività, respingendo ogni ipotesi di flat tax, bisogna aumentare le retribuzioni rinnovando i contratti, ma bisogna anche alzare la paga oraria nei contratti in cui è troppo bassa.

Il salario orario minimo è ineludibile quale strumento di giustizia sociale che potrebbe sostenere le condizioni economiche dei lavoratori, soprattutto dei giovani.

La Direttiva approvata dal Parlamento europea non detta regole uguali per tutti, ma stabilisce che il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso. Per questo è anche il momento di ragionare su una legge che anche nel nostro paese introduca il salario orario minimo e su questa tema, molto dibattuto, è evidente la contrarietà del Governo.

Già perché il tema della povertà lavorativa e dei bassi salari ha assunto dimensioni drammatiche, come ci confermano i dati dei vari osservatori, oltre agli effetti dell’alta inflazione che erode ulteriormente il potere d’acquisto dei salari.

Poi una legge sulla rappresentanza, per fare ordine ad una selva di quasi 1000 contratti nazionali di lavoro di cui solo 208 pari al 22% sono firmati da Cgil, Cisl e Uil.

Questi sono per noi gli obiettivi che devono essere realizzati sul piano legislativo, perché questo è il modo per rafforzare davvero la contrattazione.

Abbiamo poi un problema di fondo che è strutturale rappresentato da interi settori a basso valore aggiunto che si accompagna a una struttura produttiva fondata sulla microimpresa che genera una domanda di lavoro meno qualificata e, quindi, meno retribuita. Quindi basso valore aggiunto, precarietà e meno ore lavorate per i tanti part-time involontari, soprattutto tra le donne che producono retribuzioni più basse.

Riguardo ai giovani, l’ultimo rapporto annuale Istat, riferito al 2022 è tanto chiaro quanto preoccupante 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). Gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi in Europa. Nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, si tratta di 4 milioni e 870 mila persone. Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del sud del Paese (27,9%). Divario territoriale che rischia di aggravarsi a causa degli effetti prodotti dall’autonomia differenziata proposta dall’attuale governo.

Inoltre in Italia, nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. Sappiamo che l’Europa, a differenza delle scarse risorse messe in campo dal governo italiano, stanzia ingenti finanziamenti per le politiche giovanili dei Paesi.

Al nostro Paese manca evidentemente una progettualità e l’assenza al contrasto delle precarietà e dello sfruttamento, fanno purtroppo il resto.

Pino Pizzo – Segreteria Cgil Varese

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