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Transizione ecologica ed imprese energivore

La Cop28 di Dubai si è conclusa con il raggiungimento di un accordo che per la prima volta sancisce la fuoriuscita dai combustibili fossili, in modo da raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. L’Europa può e deve fare da apripista, accelerando la giusta transizione verso un futuro 100% rinnovabile e, in questo contesto, anche l’Italia si trova a dover prendere decisioni politiche urgenti e non più rimandabili per trasformare gli obiettivi concordati in azioni concrete. Soprattutto per quanto riguarda certi settori, dare il via ad un reale percorso di decarbonizzazione è indispensabile.

A questo proposito, è di queste settimane la riapertura del dibattito sull’ex Ilva di Taranto, ad oggi unico impianto siderurgico a ciclo integrale nel nostro Paese. Da qui deriva il suo carattere strategico ma anche il suo enorme impatto ambientale: un impianto di questo tipo utilizza infatti grandi quantità di carbone fossile e oltre alla produzione di CO₂ ci sono numerosi inquinanti come ossidi di azoto e zolfo e polveri sottili che continuano a riversarsi sul territorio circostante. Anche per questo la decarbonizzazione dell’ex Ilva è una scelta strategica e necessaria, superando quel decennale conflitto tra ambiente e lavoro.

Una transizione giusta non è una transizione che vede lavoratrici e lavoratori schiacciati da un ricatto occupazionale che contrappone sicurezza economica e salute. Lavoratrici e lavoratori che fuori dalla fabbrica vivono un territorio massacrato da anni di incuria e dove la mortalità legata a patologie specifiche è significativamente più alta rispetto al resto della Regione.

L’abbandono del carbone e la transizione verso l’idrogeno verde passando per il gas naturale potrebbe essere la strada per il futuro produttivo e sostenibile dello stabilimento, partendo dall’assunto che transizione e occupazione non debbano per forza andare l’una contro l’altra. Questo potrà realizzarsi solo grazie a una visione politica di lungo respiro e, fondamentale, al coinvolgimento di lavoratrici e lavoratori nelle scelte che riguardano il proprio luogo di lavoro. Non solo è necessario immaginare una conversione della produzione, ma anche una trasformazione della sua organizzazione, riportando al centro la voce e i bisogni di chi abita fabbriche e territori giorno per giorno.

Cecilia Santo – Progetto Habitat Cgil Varese

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