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Scuola di formazione Cgil: politica delle donne o politica per le donne?

Il rapporto tra donne e politica nella relazione di Giorgia Serughetti alla Scuola di formazione di 100venti e Cgil

Questa domanda ha fatto da sfondo a gran parte dell’intervento della professoressa Giorgia Serughetti, ospite del quinto incontro della Scuola di Formazione “100venti – Non è mai troppo tardi per occuparsi di cultura e politica”. Docente di filosofia politica all’Università di Milano-Bicocca, Giorgia Serughetti ha trattato durante la serata formativa i temi del suo testo “Potere di altro genere: donne, femminismi e politica”.

Il rapporto tra donne e politica, donne e rappresentanza, è storicamente piuttosto complicato. E anche dove libertà e uguaglianza sono state colonne portanti di progetti politici, il tema di genere è sempre rimasto prepotentemente ai margini. Basti pensare che due anni dopo la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, elaborata nel 1789 durante la Rivoluzione francese, Olympe de Gouges sentiva l’esigenza di pubblicare la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” difendendo, non senza ironia, la causa delle donne e rivendicando la loro piena assimilazione legale, politica e sociale.

Ora, seppur si siano fatti passi avanti e siano donne ad occupare posti decisionali all’apice delle nostre istituzioni europee e nazionali, il tema dell’approccio al potere rimane attuale perché non è detto che la presenza di donne in politica abbia conseguenze positive per tutte le donne e per i loro movimenti.

Le maree femministe che negli ultimi anni stanno occupando in modo massiccio le piazze di tutto il mondo lo dicono chiaramente: il potere in mano a una donna sola non produce nessuna trasformazione se non si fa strumento di liberazione collettiva. O, detto in altro modo, se una donna sfonda il cosiddetto “tetto di cristallo”, non è detto che questo abbia conseguenze positive per tutte le altre donne intorno a lei.

La postura politica di una donna, attualizza Serughetti, può essere estremamente maschile e questo sta accadendo ad esempio con il tema del riarmo, considerato che la guerra è forse il prodotto più estremo e violento della cultura patriarcale.

Anche a livello comunicativo e di narrazione la destra si è in qualche modo appropriata del linguaggio del femminismo senza che questo abbia prodotto concretamente proposte femministe. Si parla infatti di femminicidio, di gestazione per altre, di aborto, ma le politiche che nascono da questi discorsi continuano ad essere politiche per poche o che ricalcano schemi punitivi e patriarcali estremamente lontani dalle pratiche e dalle richieste dei movimenti. Perciò, ad esempio, ad un programma di educazione sessuo-affettiva strutturato e diffuso si oppongono misure detentive estreme senza che il tema della prevenzione entri mai nel dibattito pubblico istituzionale.

In questa continua tensione tra movimenti di piazza e spazi di rappresentanza istituzionale, moltissime donne si muovono quotidianamente per restituire senso al rapporto tra “donne, femminismi e politica”, conclude Serughetti. Perché forse, il cuore della questione non è tanto riconoscersi donne o meno, ma lavorare collettivamente per smantellare quelle forme di potere che a più livelli rendono ancora possibile l’oppressione, per inventarne di nuove e ripartire.

Il giorno prima dell’incontro, mercoledì 2 aprile, veniva resa pubblica la notizia di altri due femminicidi (più di venti dall’inizio del 2025). Sara Campanella e Ilaria Sula sono state uccise in quanto donne da una cultura patriarcale che continua a negare il carattere strutturale del problema.

Cecilia Santo – Responsabile Progetto Habitat Cgil Varese

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