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Sanità, avanti con la battaglia contro le liste d’attesa

In aumento il numero dei ricorsi con esito negativo. Riflessione di Cgil e altre associazioni su come rilanciare l’azione degli sportelli

Spesso quando il medico prescrive prestazioni specialistiche o esami diagnostici ai pazienti inserisce sull’impegnativa un codice di priorità. Questi codici variano a seconda dell’urgenza e sono contraddistinti da lettere dell’alfabeto: U prestazioni urgenti da garantire al paziente entro 72 ore; B brevi, entro 10 giorni; D differite, entro 30 giorni e 60 per gli esami diagnostici; P programmate, entro 120 giorni.

Queste indicazioni, sarebbero da considerarsi vincolanti per la salute del paziente, ma spesso vengono disattese al momento della prenotazione. È sempre più frequente sentire di cittadini e cittadine che presentandosi al CUP (Centro unico di prenotazione) o contattando i call center – sono queste le due modalità previste per accedere ai servizi della sanità lombarda – siano costretti ad accettare prestazioni ben oltre i tempi stabiliti o peggio, non ottengano nessuna risposta poiché l’operatore dichiara, su indicazione dell’ASST, che le agende di prenotazione siano chiuse.

Si tratta di riscontri al limite della legalità che pregiudicano il diritto universale alla salute. Nella maggior parte dei casi, i pazienti sono costretti a rivolgersi a strutture private, accollandosi l’onere economico della prestazione o nei casi peggiori, a rinunciare al percorso di cura.

La CGIL è da sempre impegnata nella contrattazione con le istituzioni sanitarie: ATS ed ASST sul territorio e Regione Lombardia per le strutture regionali e ritiene inaccettabili queste due opzioni, sollecitando con decisione ai suoi interlocutori una soluzione che renda certo il diritto dei tempi di accesso e somministrazione delle cure.

Malgrado l’insistenza sindacale nel rivendicare il rispetto delle tempistiche previste, i risultati sono spesso sconfortanti, ma è interessante analizzare perché Governo nazionale e Regione non possano o non si vogliano trovare una soluzione.

Da decenni ormai le scelte politiche in merito alla sanità sono chiare: il Governo e la Giunta regionale infatti tendono a privilegiare la sanità privata a discapito di quella pubblica.

Così, da un lato, annotiamo scarsi investimenti: solo il 6% del PIL a livello nazionale viene destinato alla sanità, mentre a livello regionale l’equiparazione tra sistema pubblico e privato, sancita dall’ultima riforma sanitaria tuttora vigente, porta ad indebolire ciò che, anche per la Carta costituzionale, dovrebbe essere un diritto universale.

In Lombardia, ormai dal 1997 per gli effetti della prima riforma sanitaria di Formigoni il carattere universale si è gradualmente disgregato, fino ad arrivare alla situazione attuale nella quale ormai il 50% delle risorse sono destinate a strutture private accreditate se non a realtà totalmente riconducibili alla libera professione.

Questo rappresenta un pesante discrimine sociale che porta chi dispone di risorse a sopperire, pagando, alle disfunzioni del sistema, mentre chi non è in grado di attingere a disponibilità economiche o ad una polizza assicurativa rischia di non potersi curare.

Quanto illustrato non rappresenta esclusivamente un problema sociale, bensì concretamente una doppia imposizione; infatti sarebbe improprio considerare la sanità pubblica come gratuita, poiché finanziata attraverso l’imposizione fiscale e contributiva, quindi trovandosi costretti a pagare le prestazioni, si configura un doppio contributo al sistema.

L’attività della nostra organizzazione, confederale e dei pensionati dello SPI, da sempre pone particolare attenzione alla tutela dei diritti, quindi in quest’ottica, ormai da più di un anno, abbiamo avviato degli sportelli ai quali gli utenti che non vedono rispettati i tempi di priorità indicati dal proprio medico possono accedere e vengono aiutati a fare ricorso.

Senza entrare nello specifico, i ricorsi possono essere di varia natura a seconda di quale sia stata la risposta dell’ASST. L’iniziativa nata originariamente a Lodi, da noi ha visto la costituzione di una partnership variegata che comprende, oltre alla CGIL, Auser, Acli, Medicina democratica, Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione e Attac, tutti accomunate dall’intento di garantire l’appropriatezza del servizio.

L’iniziativa ha avuto sin dall’inizio i crismi della professionalità: le modalità dei ricorsi, nelle varie casistiche, sono state messe a punto da un gruppo di legali che si sono messi a disposizione del progetto a titolo completamente gratuito; gli sportelli sono gestiti da volontari adeguatamente formati sulla normativa per evitare di incorrere in spiacevoli errori che, non solo pregiudicherebbero l’esito del ricorso, ma rischierebbero di inficiare l’autorevolezza dell’intera iniziativa.

Il clamore suscitato dagli sportelli e dalla loro funzione, ha portato in breve tempo ad un significativo aumento degli afflussi. L’informazione è circolata con il passaparola anche in mancanza di una vera e propria campagna informativa.

Inizialmente i risultati sono stati lusinghieri, quasi la totalità dei ricorsi andava a buon fine con piena soddisfazione degli aspiranti pazienti che si vedevano garantire le prestazioni nei tempi stabiliti, nonché in strutture vicine alla propria residenza, senza doversi sottoporre al turismo della salute.

Con il passare del tempo, abbiamo registrato una diminuzione degli esiti positivi, se non la totale mancanza di risposte da parte delle strutture sanitarie preposte. Questo, se dal punto di vista dell’utenza è certamente un aspetto negativo, politicamente deve essere interpretato diversamente; infatti dimostra chiaramente come un’azione portata dal basso stia dando profondamente fastidio alle ASST che con i loro dinieghi stanno operando per limitarne l’impatto.

Consapevole delle crescenti difficoltà, la CGIL, con l’intera rete di soggetti coinvolti, sta pensando a iniziative che possano restituire forza all’attività degli sportelli.

Va detto che sul versante strettamene sindacale, il ruolo negoziale, esercitato unitariamente con Cisl e Uil, continua incessantemente, poiché pare ormai evidente che l’eccellenza della sanità lombarda è solo propaganda della quale non si avverte per niente la necessità.

Ogni volta che istituzionalmente ci si trova a parlare di liste d’attesa i nostri interlocutori contrappongono giustificazioni discutibili quali l’inappropriatezza delle prestazioni richieste o addirittura negano il problema contrapponendoci dati opposti a quelli che noi verifichiamo sul campo. Il tema è comunque attuale e fastidioso per la Regione e la prova è il continuo ribadire, solo a parole in assenza di stanziamenti di fondi adeguati, che la Giunta è impegnata a risolvere il problema.

Francesco Vazzana – Dipartimento Sociale Cgil Varese

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