Nel 2024 abbiamo replicato il lavoro fatto nel 2021 ma, ahimè, la situazione non si è modificata. Per inquadrare l’analisi fatta ricordiamo che il decreto legislativo 198 del 2006, comunemente chiamato Codice delle Pari Opportunità, ha introdotto l’obbligo per le aziende con almeno cinquanta dipendenti, di redigere un report biennale sulla situazione occupazionale di lavoratori e lavoratrici. La Fiom di Varese, grazie ad un lavoro corale fatto dai funzionari e dalle funzionarie, dai delegati e dalle delegate, ha raccolto 61 report di aziende metalmeccaniche del nostro territorio contenenti i dati del 2023. ai quali si aggiungono i 3 report delle grandi imprese presenti sul nostro territorio: Beko, Bticino, Leonardo.
Sono evidenti, anche nel biennio 2022-2023, le difficoltà delle lavoratrici della nostra provincia in ordine a crescita professionale, retribuzioni e conciliazione già rilevate a livello nazionale. Il settore metalmeccanico resta un settore a basso tasso di femminilizzazione. Nelle 61 aziende analizzate le donne sono poco meno del 22% degli occupati, mentre nei gruppi più grandi (Bticino, Leonardo e Whirlpool) esaminate a parte, sono il 20,3%.
La percentuale peggiora notevolmente tra i dirigenti. Solo il 10% infatti è di genere femminile. Nei tre grandi gruppi il dato migliora di poco, attestandosi sul 17%. Le difficoltà nelle progressioni di carriera, con un divario così ampio, non sono ovviamente legate a minori capacità manageriali delle donne, ma ad una minore flessibilità in termini di orari e di trasferte che un dirigente generalmente deve garantire e che chi deve occuparsi di casa, figli o anziani, non può invece offrire.
Il dato che più colpisce è quello relativo ai contratti di lavoro part time. Il 14% delle donne occupate nelle aziende analizzate (11,6% nei grandi gruppi) lavora a tempo parziale contro solo l’1,4% degli uomini (0,3% nei grandi gruppi). Una chiara polarizzazione di genere emerge anche nell’uso dei congedi di maternità/paternità e parentali: le donne che li usano sono il 9,6% circa delle occupate contro il 3,6% di uomini (nei grandi gruppi rispettivamente 13,3% e 4,2%).
Confermiamo anche i dati relativi al gender pay gap rilevati a livello nazionale. Tra gli operai il divario retributivo è pari al 25% mentre tra gli impiegati è il 23%. Diminuisce tra chi ricopre un ruolo direttivo; è infatti il 18% tra i dirigenti e il 15% tra i quadri. Nei tre gruppi nazionali, grazie ad una maggior attenzione al tema e a strumenti di contrattazione più estesi, le differenze retributive tra uomini e donne sono meno marcate nella qualifica degli impiegati, 14%, per i quadri 11% e per i dirigenti (16,5%). Per gli operai invece è più marcata, 33%.
Anche il salario accessorio presenta delle differenze molto rilevanti. I superminimi medi distribuiti agli uomini sono infatti di circa 6 mila euro contro i 3 mila distribuiti alle lavoratrici. Lo straordinario viene effettuato prevalentemente dagli uomini: 68 ore annue pro capite contro le 23 ore lavorate dalle donne (rispettivamente 48 e 38 nei gruppi). Le donne, nella nostra società, hanno incombenze familiari che molti meno uomini hanno, di conseguenza il tempo da poter dedicare al lavoro è inferiore. Il lavoro di cura diventa purtroppo una questione di censo se consideriamo che retribuzioni più alte permettono alle famiglie di acquistare servizi di welfare e liberare tempo da dedicare al lavoro mentre retribuzioni più basse rendono impossibile alle famiglie pagare asili nido o servizi di baby sitting costringendo le donne a rinunciare al proprio lavoro e alla propria crescita professionale.
Insieme alla forte caratterizzazione femminile del part time e alla minor disponibilità a straordinari la distribuzione unilaterale del salario da parte delle aziende appare come uno dei motivi principali del differenziale di paga sfavorevole alle donne. I dati analizzati presentano pertanto una forte contraddizione tra “meritocrazia” e “pari opportunità”. Minori responsabilità e salari più bassi non sono certo frutto di una minore competenza o di minori capacità lavorative delle donne pertanto, a nostro avviso, meritocrazia e pari opportunità nella realtà dei fatti sono meri proclami. Le aziende analizzate puntano meno sul lavoro delle donne e la conferma viene dai dati sulla formazione. Agli uomini sono state erogate 20 ore annue pro capite contro le 15 dedicate alle donne Nei grandi gruppi è stata erogata maggior formazione. 24 ore pro capite per gli uomini e 17 per le donne.
I dati esposti mostrano una società nella quale gender pay gap, soffitto di cristallo, difficoltà di accesso ai servizi di cura e una cultura di genere ancora poco paritaria, non permettono alle donne di prendersi lo spazio che meriterebbero e spetterebbe loro. Crediamo che la lotta alla disparità di genere vada combattuta da entrambi i sessi perché siamo di fronte ad un’arretratezza culturale della società nel suo complesso e se migliorano le condizioni della donna migliora anche la condizione maschile.
Leggi e sistemi di welfare giocano un ruolo chiave, ma sono il risultato della cultura dominante di un Paese. La cultura si cambia dal basso, a partire dalle nostre case pretendendo che gli uomini condividano e contribuiscano in modo egualitario alla gestione delle faccende domestiche e alla cura di anziani e figli. Gli stereotipi si decostruiscono dalle fondamenta e la Cgil con la contrattazione che quotidianamente svolge nei luoghi di lavoro ha già da tempo assunto la sfida.
Ciò che ci preme evidenziare con questa analisi è anche la rilevanza economica del settore dell’industria. Seppur con le differenze evidenziate le retribuzioni analizzate non sono retribuzioni “da fame”. Sono infatti retribuzioni mediamente più alte rispetto a quelle di altri settori, come il commercio e servizi o l’agricoltura, pertanto la crisi dell’industria al nostro Paese potrebbe costare molto caro.
Gaia Angelo – Segreteria Cgil Varese