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DDL Sicurezza: se da un lato si colpevolizza il dissenso, dall’altro…

Una nuova legge repressiva di contestazioni e proteste. Nel mirino finisce anche chi scende in piazza a difesa del posto di lavoro

Son una ventina, 19 per la precisione, i condoni fiscali, previdenziali, edilizi per il rientro di capitali illegalmente esportati all’estero, scudi penali che il governo Meloni ha prodotto dal suo insediamento. Un ritmo di uno al mese. Diciannove regali dell’esecutivo per i cittadini più distratti, i furbetti, gli evasori.

Il tutto mentre lo scorso lo scorso 18 settembre la Camera dei deputati ha approvato le “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, il cosiddetto ddl Sicurezza, che introduce un numero eccezionale di nuovi reati e inasprimenti di pene: su 38 articoli di cui si compone sono almeno 20 – ironia della sorte –  quelli che prevedono l’introduzione di nuovi reati o l’estensione della loro applicabilità, aumento delle pene e delle sanzioni, interpretazioni più restrittive di alcune norme penali.

Per alcuni di essi è chiaro il disegno repressivo di ogni forma di dissenso: una ulteriore conferma di quanto questo Governo, compattamente, pensa in tema di sicurezza, declinato solo come azione repressiva dei conflitti sociali e come politica punitiva, di giustizia e carcere.

Da un lato si suggerisce la liceità di comportamenti fraudolenti – in un Paese, il nostro che ha i tassi di evasione fiscale e contributiva più alti in Europa -, dall’altro si ricorre alla minaccia preventiva di ritorsioni penali per chi, anche pacificamente, sceglie di mettersi in gioco per la difesa dei diritti proprio o collettivi. Provvedimenti che riducono gli spazi di dissenso e protesta, come i reati relativi alle manifestazioni, arrivando a peggiorare il codice Rocco. Norme con cui si intende rispondere a problemi sociali senza preoccuparsi di indagare la natura delle questioni e dei comportamenti che nascono e si determinano in ambienti di povertà, di disagio, di marginalità, di degrado sociale che avrebbero bisogno di una più forte presenza dei servizi sociali e di una rete di sostegno, norme che non aumentano la sicurezza dei cittadini ma risultano utili spot di “populismo penale”.

Un Decreto Sicurezza che, paradossalmente si fa beffa anche delle lavoratrici e dei lavoratori delle forze di polizia. Dopo aver ascoltato per mesi le dichiarazioni di importanti esponenti del governo Meloni che hanno gridato tutto il loro sostegno alle forze dell’ordine, nulla è previsto per quanto concerne le reali e necessarie riposte che servono veramente agli operatori della sicurezza: rinnovi contrattuali, scaduti da troppo tempo, con risorse adeguate e un piano di assunzioni straordinarie per adeguare gli organici, anche per quanto riguarda gli istituti penitenziari. Di contro si autorizza la detenzione di una seconda arma senza licenza per gli operatori di polizia, che suona come un riconoscimento a un esercizio della sicurezza in forma privata, un far west non compatibile con il nostro ordinamento costituzionale.

Ci si domanda poi quale utilità sociale abbia quel provvedimento che dall’entrata in vigore del Decreto stabilisce la non obbligatorietà del differimento della pena per le donne incinte e le madri di bambini fino a un anno di età: una crudeltà che vede neonati passare i primi anni di vita, incolpevolmente, tra le mura di un carcere.

Infine, è chiaro il modello della volontà di riduzione degli spazi di dissenso e il chiaro intento di azzerare la libertà e il diritto delle persone a manifestare la propria condizione. Una norma che limita l’iniziativa e le mobilitazioni sindacali per difendere i diritti del lavoro e contrastare le crisi aziendali e occupazionali. Dal 19 di settembre scendere in piazza, organizzare un presidio davanti alla propria fabbrica, mobilitarsi per difendere il proprio posto di lavoro può costare molto caro perché il disegno di legge vieta e punisce le proteste e manifestazioni, anche non violente e anche se attuate in forma di resistenza passiva, poste in essere da singoli, gruppi e associazioni. In particolare, si prevede la punibilità a titolo di reato di “blocco stradale” (prima punito come illecito amministrativo), ossia la condotta di chi ostruisce la circolazione con il proprio corpo – anche se passiva -, con aumento di pena se il fatto è commesso da più persone riunite. Un chiaro attacco alle lavoratrici ed ai lavoratori e alle proprie organizzazioni.

Tutto questo, perché al peggio non c’è mai fine, mentre il Governo decide di abolire il reato di abuso di ufficio e altre norme che regolavano comportamenti criminosi contro la Pubblica amministrazione: spesso reati spia di infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, su questo versante, come su quello dell’evasione fiscale, Governo Meloni non pervenuto.

Stefano Rizzi – Segreteria Cgil Varese

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