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Alternative al carcere, firmato un protocollo in Prefettura

Lo scorso 19 luglio è stato siglato a Varese in Prefettura un protocollo d’intesa per agevolare l’accesso alle misure alternative alla detenzione – attraverso il lavoro esterno – per la popolazione ristretta nelle due case circondariali della Provincia: Varese e Busto Arsizio.

Si tratta, a nostro avviso, di un importante atto politico il cui raggiungimento non era per niente scontato, che ha visto il ruolo centrale del Prefetto, grazie al quale tutte le istituzioni del territorio, dal sindacato alle associazioni datoriali, passando per il terzo settore, gli istituti di detenzione, l’ufficio per l’esecuzione penale esterna, la Provincia e la politica a livello regionale e nazionale, hanno dato vita ad un accordo di civiltà dall’immenso valore sociale.

I princìpi che hanno mosso le parti ad aderirvi sono molteplici:

il rispetto della Costituzione che prevede la natura rieducativa della pena, mentre oggi assistiamo, nella maggior parte dei casi, a percorsi afflittivi nei quali la persona, per effetto del sovraffollamento e delle condizioni di degrado in cui versano gli istituti, subisce di fatto una pena multipla, in aggiunta a quella naturale della privazione della libertà;

il dato inconfutabile secondo cui lo scontare la pena utilizzando misure alternative riduce drasticamente la recidiva;

la necessità di tentare di colmare la distanza tra il carcere ed il mondo esterno; infatti nel pensiero prevalente, per l’opinione pubblica gli istituti rappresentano entità distanti dalla quotidianità alle quali non avvicinarsi, anche per il dilagare di un sentimento giustizialista, alimentato dalla classe politica al potere, che non giova a nessuno.

Alcuni decenni fa anche a Varese – come in altri territori – esisteva un Comitato carcere e territorio composto dagli stessi attori che hanno sottoscritto il protocollo. Negli anni ha perso totalmente il suo ruolo e l’auspicio è quello che si riattivi un collegamento tra esterno ed interno che non può che fare bene all’intera società.

Capita sempre più spesso di assistere a suicidi in carcere, fenomeno drammatico che coinvolge non solo i detenuti (quasi 60 dall’inizio dell’anno) ma anche gli agenti di Polizia penitenziaria. Si tratta di una situazione inaccettabile oltre che illogico in una società normale, peraltro nemmeno Varese si è dimostrata immune dal problema; infatti è recente l’episodio di un detenuto ristretto nel carcere del capoluogo che si è tolto la vita malgrado dovesse scontare una pena relativamente breve.

È emblematico di come chi si vede senza speranze attui soluzioni estreme evidenziando tutte le distorsioni di un sistema che non può più funzionare così. Nessuno vuole mettere in discussione la certezza della pena; tuttavia si dovrebbe immaginare la prigione come un luogo dove scontare una pena affidati allo Stato, quando si verificano episodi come i suicidi, lo Stato ha fallito nei suoi compiti di reinserimento sociale.

Il lavoro è terapeutico per qualunque persona, a maggior ragione, per chi sia costretto a lunghi periodi della propria vita ristretto. Il valore profondo del protocollo è rappresentato dal coinvolgimento convinto dei rappresentanti istituzionali a tutti i livelli, poiché se entrare nel mercato del lavoro non è semplice in generale, per un detenuto, spesso stigmatizzato dalla società, può diventare un’impresa improba.

La sottoscrizione è certamente un traguardo, ma non quello definitivo, adesso comincia il lavoro duro, quello di incrementare le attività di formazione ed orientamento all’interno e concedere concrete opportunità di lavoro, attraverso azioni che sviluppino le sinergie tra i soggetti coinvolti.

Esiste una legge, la 193/2000, nota come Smuraglia, che offre cospicui incentivi per l’occupazione, ma è da sempre utilizzata in maniera limitata, oltre che scarsamente finanziata. Il salto di qualità al quale anche l’accordo può contribuire, sarà un accesso sistematico alle richieste per rendere il lavoro una prassi normale e non come accade ora, un’eccezione riservata a un numero limitato di fortunati.

In conclusione mi soffermerei su una coincidenza che ritengo doveroso citare: negli stessi giorni il Governo ha promulgato un Decreto, pomposamente definito svuota carceri, sulla cui efficacia molti addetti ai lavori più preparati ed autorevoli del sottoscritto, hanno avanzato parecchie perplessità.

Infatti, pur affermando l’intenzione di agevolare misure alternative alla detenzione, si rende più complesso, dal punto di vista delle procedure l’accesso alle stesse prevedendo una doppia valutazione da parte delle Procure e della magistratura di sorveglianza, inoltre, sono state previste nuove assunzioni nell’ambito della polizia e nessuna sul personale educativo.

Questo ultimo aspetto ci espone a due elementi critici: il primo, la propensione di questa destra alla repressione ed il secondo, che senza incrementare gli organici delle aree trattamentali ed educative, si rende tortuoso il percorso di valutazione dei requisiti di accesso ai benefici ed alla liberazione anticipata.

A Varese, al contrario, è stato compiuto un atto concreto che potrà essere valutato nei prossimi mesi in relazione ai risultati che il protocollo sarà in grado di produrre. La CGIL ci ha creduto fin dall’inizio del percorso che ci ha visti impegnati per più di un anno, speriamo che lo stesso spirito accomuni tutti i nostri partner.

Francesco Vazzana – Dipartimento politiche sociali Cgil Varese

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