Novità normative dal governo, ma non ci sono adeguati passi avanti per tutelare salute e sicurezza di lavoratrici e lavoratori. Scarsi i controlli
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” dice Tancredi nel celebre romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Il governo Meloni sulla prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro pare aver preso spunto da qui. Negli ultimi due anni si sono moltiplicate norme spot e di facciata, complice l’eco mediatico seguito in particolare ad alcuni infortuni mortali multipli (tra tutti Suviana, Brandizzo e Firenze), tese più a garantire l’attesa e dovuta risposta del governo che ad occuparsi efficacemente della questione.
Tali norme risultano scarsamente efficaci, ove non addirittura controproducenti (in particolare è il caso del codice appalti 2023).
Siamo di fronte ad un modello di azienda e ad un’idea di lavoro realmente reazionari e non partecipativi, la cui ricaduta anche sulla prevenzione e sicurezza è rilevante: pilastri del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. sono proprio il coinvolgimento e la partecipazione di tutte le persone operanti in azienda ad ogni titolo, nessuno escluso, a partire da lavoratrici, lavoratori e dalle loro Rappresentanze (RLS aziendali e territoriali, RSA/RSU con riferimento all’art. 9 della Legge n. 300/70, lo Statuto dei lavoratori).
Osteggiando apertamente corpi intermedi e rappresentanza sindacale, il governo rimarca la visione dirigista vecchio stampo del fare impresa e della politica, con grave detrimento dell’idea stessa di Rappresentanza che, com’è noto, con tanta difficoltà prova ad acquisire una sostanziale centralità e a garantire il corretto riconoscimento dei diritti e della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
In questo modello il primato assoluto viene accordato agli aspetti produttivi ed economici, mettendo in secondo piano elementi quali salute, prevenzione, sicurezza, sostenibilità, secondo un’ottica per nulla nuova nella quale la ratio economica prevale su tutto.
Ricordiamo brevemente quali norme sono figlie dell’attuale governo.
Il codice degli appalti in primis, che snellisce pericolosamente le responsabilità della committenza nella catena potenzialmente infinita di appalti e subappalti.
Il nuovo Accordo Stato-Regioni per la formazione sulla sicurezza, dopo quasi tre anni di travagliata attesa, rischia di fornire un risultato decisamente discutibile, lasciando aperte questioni che da anni attendono maggior chiarezza ed efficacia, per esempio su titolarità ad erogare formazione e sulle docenze (v. Accordo Stato-Regioni 2011 e aggiornamento 2016) .
Una nota positiva è la presenza dei break formativi come nuova modalità contemplata, insieme all’obbligo di formazione per il Datore di Lavoro decretato dal precedente governo, cui fa da contraltare, però, un’eccessiva disponibilità delle modalità formative da remoto (continuiamo a sostenere motivatamente che la formazione sulla sicurezza vada svolta in presenza, salvo casi eccezionali come il periodo Covid).
Più in generale il rischio è che il nuovo Accordo Stato-Regioni confermi un modello formativo poco efficace per incidere ad ogni livello su percezione dei rischi e cambiamenti culturali auspicati.
La Patente a crediti è un altro elemento che, per come è stato promulgato, pare più concentrato sulla forma che sulla sostanza: con l’autocertificazione e la necessaria documentazione si è “patentati”. Certo, i controlli sono a garantirne la veridicità, ma chi li effettua se gli investimenti per gli organi di vigilanza continuano ad essere derubricati dalle priorità?
Nulla di significativo è previsto in tal senso neppure nell’ultima finanziaria, preceduta anzi dalla “semplificazione dei controlli” dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro prevista dal D.Lgs. n. 103 di agosto 2024 insieme al preavviso di dieci giorni relativo alla documentazione da esibire all’organo di vigilanza in fase di ispezione, salvo casi specifici fumosamente definiti e discrezionalmente identificabili.
Nella Patente a crediti, poi, quantificare in 10 o 20 punti la salute o la vita umana è inaccettabile, oltre che inefficace (sistema dei crediti).
Quanto accaduto a Firenze, per esempio, ci indica anche che l’intero sistema di coordinamento e controllo dei lavori nei cantieri va rivisitato in profondità, insieme alla catena appalti-subappalti. Ma se il problema è complesso e sistemico, come aspettarsi risultati apprezzabili se le dinamiche in gioco vengono affidate esclusivamente al mercato?
L’ultima meraviglia è il ddl “collegato lavoro”, in attesa di approvazione al Senato. Senza entrare troppo nel merito e in attesa della definitiva approvazione, basti segnalare che al netto di qualche chiarimento formale (ricorso del lavoratore avverso il Giudizio di Idoneità formulato dal Medico Competente di competenza esclusiva delle Agenzie della Salute – ATS Insubria per la nostra provincia, peraltro da anni drammaticamente sottodimensionata e in difficoltà), aggiunge “snellezza precarizzante” ad alcune tipologie contrattuali di lavoro (si veda la newsletter precedente di CGIL Varese sul tema) in direzione opposta a quanto sarebbe necessario ed auspicabile.
In conclusione non ci sono significativi passi in avanti per la tutela della salute e sicurezza, bensì un proliferare normativo di facciata, inefficace complessivamente e di scarso contrasto delle dinamiche economiche, organizzative e culturali che concorrono a creare contesti di maggior rischio nei luoghi di lavoro.
Ivano Ventimiglia – Responsabile Dipartimento Ambiente, Salute e Sicurezza CGIL Varese