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Autonomia differenziata, cavallo di Troia per tornare alle gabbie salariali

L’autonomia differenziata è una scelta sciagurata perché divide il nostro Paese e non supera né il divario territoriale né le disuguaglianze che semmai verranno accresciute.  In un contesto come quello odierno con il ritorno alle guerre per la ridefinizione degli equilibri geopolitici, con le grandi crisi climatiche globali, pensare che si possa tutelarsi meglio nelle piccole scelte campanilistiche regionali è pura follia.

Le ragioni per dire NO all’Autonomia differenziata per chi rappresenta gli interessi generali di Lavoratrici e Lavoratori sono tante e non soltanto quelle immediatamente intellegibili quando si affronta questo tema, cioè sanità e scuola. Le materie su cui viene chiesta autonomia di legiferare vanno dal commercio estero, dalla sicurezza sul lavoro, dalla tutela dei beni culturali, al trasporto, dal credito alla ricerca, fino ad arrivare alla disciplina della distribuzione dell’energia.

In uno spezzatino regionalizzato senza più legami, il passo successivo è lo smantellamento dei Contratti Collettivi nazionali di Lavoro e la reintroduzione delle gabbie salariali: se la scuola avrà tanti programmi e tante discipline quante sono le regioni, quale sarà la conseguenza per i lavoratori della scuola se non vedersi proporre un contratto regionale, se non addirittura un moltiplicarsi di contratti nella stessa Regione? Stesso dicasi, evidentemente, per tutte le materie che incrociano i temi dell’Autonomia così come licenziati dal Senato dallo specifico Ddl in data 23 febbraio 2024.

Se questa legge fosse approvata, l’insieme dei servizi pubblici universali verrebbe dunque disarticolato, producendo diseguaglianze territoriali nel pubblico, ma portando a distorsioni di competizione tra aree del paese dove i tanti Nord e i tanti Sud (non solo geografici) finirebbero nella centrifuga economico-sociale di interessi di parte che determinerebbero un peggioramento delle condizioni di tutti in una continua competizione territoriale.

Ma non è solo il settore pubblico a pagare il prezzo del peggioramento: se si interviene sulle condizioni di reddito complessivo dei cittadini nei settori pubblici si finisce per colpire alla base il ruolo solidaristico previsto dai CCNL. L’Autonomia differenziata è il “cavallo di Troia” per tornare alle vecchie gabbie salariali, che non a caso vennero spazzare via dalle lotte dell’autunno caldo del ’69 sull’onda di un principio fondamentale della democrazia: a parità di lavoro, parità di diritti e parità di salario. L’Autonomia differenziata è l’esatto contrario della democrazia, perché riduce gli spazi di mediazione, aumenta la frammentazione sociale.

Sbaglia chi pensa che questa differenziazione premierà il Nord a scapito delle regioni del Sud. Queste ultime vedranno certamente peggiorare drasticamente i propri livelli di welfare, ma le prime vedranno aumentare i processi di privatizzazione. È quello che è successo nel Servizio Sanitario Nazionale, a partire dal modello lombardo, con la progressiva esternalizzazione di attività sanitarie, sostituendo il servizio pubblico con il privato a pagamento. Risultato di questo processo, sbandierato per ridurre il peso della spesa pubblica, è trasformare i Diritti in servizi, scaricando il costo sui singoli anziché sulla fiscalità generale come prevede la Costituzione. E siccome il reddito si forma con la sommatoria del salario diretto, da quello differito e da quello indiretto (servizi erogati), l’aumentare dei costi per sopperire alla drastica riduzione di questo terzo pilastro rendarà lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati più poveri.

Se passasse questo principio nei contratti nazionali pubblici, difficilmente il privato resisterebbe a lungo e torneremmo, in un breve lasso di tempo, al modello salariale e di diritti preesistente allo Statuto dei lavoratori, cioè prima del 1969 e dell’autunno caldo, prima che il CCNL fosse strumento solidaristico per eccellenza.

Il nostro NO all’Autonomia differenziata è dunque una battaglia per riaffermare la centralità della dignità del lavoro quale principio fondamentale della Democrazia: a parità di lavoro, parità di salario.

Stefano Rizzi – Segreteria Cgil Varese

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