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Generazione precaria tra scuola e lavoro

Le lotte dei lavoratori hanno sempre avuto ruolo centrale nelle lotte studentesche, sin dalla nascita di quest’ultime e soprattutto la lotta transfemminista è una lotta intergenerazionale, sia perché riguarda tutta la società civile, sia perché noi, generazione precaria, abbiamo il fardello di lottare fin da oggi per  diritti che per la generazione dei nostri genitori e dei nostri nonni erano scontati, dalla pensione, ad un lavoro sicuro, fino alla libertà di abortire nella propria regione in maniera sicura.

Ancor prima di entrare in un mondo del lavoro capitalista e, per sua natura, patriarcale, già dai libri di scuola inizia la discriminazione per noi studentesse. Gli studenti hanno il diritto di sognare in grande, di immaginare il proprio nome sui libri di scuola del domani, noi no. Come possiamo trovare ancora la forza di lottare se nessuna donna trova mai spazio nella narrazione dei programmi scolastici? Capita di perdere la speranza guardando i libri di storia, letteratura, arte senza mai trovare il nome di coloro che hanno oggettivamente cambiato la rotta come Rosa Luxemburg, Nilde Iotti, Frida Khalo. Neanche un Premio Nobel è bastato a Grazia Deledda per entrare nei programmi di letteratura, neanche la morte nel contesto della rivolta spartachista è bastato a Rosa Luxemburg per avere uno spazio sui manuali di storia, se non sia una breve menzione in quanto consorte di Karl Liebknecht. Neanche le numerose morti sul lavoro e le morti per violenza di genere sono bastate per permettere che nella scuola si parli di donne al di fuori di pochissime date.

È un’altra contraddizione del sistema: in un settore, quello dell’istruzione, in cui gli impiegati sono storicamente a maggioranza femminile, si insegna principalmente la storia degli uomini. Questo può farci deprimere, rassegnare, o può portare ad un sentimento di rivalsa che trova la sua origine in mezzo ai banchi di scuola e deve procedere con vigore in un mondo del lavoro che già sappiamo non avere alcun riguardo per noi, donne e giovani, che forse non vedremo pensione e che dobbiamo sentirci fortunate se ad un colloquio di lavoro non ci viene posta la domanda “vorrai avere figli?”.

Olimpia Macciocchi – Studentessa

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